Una nuova legge elettorale

Una nuova legge elettorale

A volte ragionare fuori dagli schemi diventa utile e, altre volte, addirittura necessario. Non esistono soltanto i sistemi elettorali di tipo maggioritario o proporzionale. O, almeno, questi non sono in grado di tutelare pienamente la libera espressione del diritto di voto. L’esperienza personale me lo insegna, tanto in quanto elettore, quanto nelle vesti di candidato.

Dal punto di vista di chi vota

Sono uno dei tanti che non vota, da anni, almeno da quando mi sono reso conto di chi contribuivo ad eleggere.
So che astenermi non sia una soluzione, ma non credo né nel partito e né tanto meno nel movimento politico, però purtroppo posso votare soltanto per loro… E il problema più grande è che le alternative di sistema ad oggi in campo sono in ogni caso insufficienti.

Il sistema proporzionale non tutela i miei diritti, perché, imponendo la lista politica, preclude la possibilità di votare per un’unica persona.
Allo stesso tempo, però, nemmeno il sistema maggioritario è sufficiente, perché, pur permettendo di votare un’unica persona, limita irragionevolmente l’esercizio del diritto di voto. Io che intendo votare qualcuno di cui mi fidi (e siamo tutti d’accordo che questo sia un mio diritto), perché dovrei limitarmi al mio collegio elettorale?! Da bresciano perché non potrei votare, ad esempio, un sardo. Si vota per eleggere chi rappresenti la Nazione, non esiste motivo per limitare il voto al territorio comunale o poco più. Anche e soprattutto in ragione dei nuovi mezzi di comunicazione, che rendono illogica ogni limitazione territoriale aprioristica.

La legge elettorale deve rispettare anche chi, votando, voglia assumersi le proprie responsabilità elettorali: chi voglia scegliere i propri politici, senza farli scegliere ad altri. Chi voglia votare una persona di fiducia, per essere certo di contribuire ad eleggere una persona “onorevole”. La legge deve rispettare chi voglia essere messo nelle condizioni di monitorare l’operato di colui o colei che contribuisca ad eleggere. Si tratta di diritti, sacrosanti, inerenti la personalità e la libertà del voto.

Dal punto di vista di chi si candida

Il monopolio della politica è in capo ai partiti. Ma qualcuno deve spiegarmi dove sta imposto?! Perché per far politica bisogna domandare il permesso a un partito o a un movimento? In Costituzione non sta scritto da nessuna parte. Chiunque può fare politica, all’unica condizione che riceva un numero di voti sufficiente. Gli unici giudizi imposti dalla Costituzione sono quelli degli elettori, non dei partiti.

La legge elettorale deve rispettare anche chi intenda assumersi le proprie sole ed uniche responsabilità davanti agli elettori, chi non intenda spartire il voto, ma “mettere la faccia” soltanto per sé stesso, in quanto capace di garantire soltanto in merito ai propri futuri atti e non a quelli di altri.

La nuova legge elettorale

Per questi motivi, sono convinto che la legge elettorale debba prevedere la possibilità di candidarsi individualmente e indipendentemente, fuori da qualunque lista politica, in rappresentanza soltanto del proprio nome e cognome. L’ampiezza del territorio di candidatura dev’essere una scelta del candidato, subordinata, a parer mio secondo logica, soltanto alla presentazione di un numero di firme a sostegno della candidatura, proporzionale alla popolosità del territorio entro cui intenda candidarsi. Dopo di che, si fa la conta, stando a calcoli elettorali non certo facili e immediati, ma realizzabili: chi prende più voti viene eletto, fino ad esaurimento posti.

Ma questa maniera di votare e di candidarsi, proprio in quanto diritto tutelato dalla Costituzione, non intende prevaricare sull’altrettanto legittimo diritto di candidarsi e di votare per una lista politica. Convivenza dev’essere la parola d’ordine: diamo agli elettori la possibilità di votare per un partito, per un movimento o (liberamente) per una persona, e vediamo cosa succede.

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Una nuova legge elettorale

A volte ragionare fuori dagli schemi diventa utile e, altre volte, addirittura necessario. Non esistono soltanto i sistemi elettorali di tipo maggioritario o proporzionale. O, almeno, questi non sono in grado di tutelare pienamente la libera espressione del diritto di voto. L’esperienza personale me lo insegna, tanto in quanto elettore, quanto nelle vesti di candidato.

Dal punto di vista di chi vota

Sono uno dei tanti che non vota, da anni, almeno da quando mi sono reso conto di chi contribuivo ad eleggere.
So che astenermi non sia una soluzione, ma non credo né nel partito e né tanto meno nel movimento politico, però purtroppo posso votare soltanto per loro… E il problema più grande è che le alternative di sistema ad oggi in campo sono in ogni caso insufficienti.

Il sistema proporzionale non tutela i miei diritti, perché, imponendo la lista politica, preclude la possibilità di votare per un’unica persona.
Allo stesso tempo, però, nemmeno il sistema maggioritario è sufficiente, perché, pur permettendo di votare un’unica persona, limita irragionevolmente l’esercizio del diritto di voto. Io che intendo votare qualcuno di cui mi fidi (e siamo tutti d’accordo che questo sia un mio diritto), perché dovrei limitarmi al mio collegio elettorale?! Da bresciano perché non potrei votare, ad esempio, un sardo. Si vota per eleggere chi rappresenti la Nazione, non esiste motivo per limitare il voto al territorio comunale o poco più. Anche e soprattutto in ragione dei nuovi mezzi di comunicazione, che rendono illogica ogni limitazione territoriale aprioristica.

La legge elettorale deve rispettare anche chi, votando, voglia assumersi le proprie responsabilità elettorali: chi voglia scegliere i propri politici, senza farli scegliere ad altri. Chi voglia votare una persona di fiducia, per essere certo di contribuire ad eleggere una persona “onorevole”. La legge deve rispettare chi voglia essere messo nelle condizioni di monitorare l’operato di colui o colei che contribuisca ad eleggere. Si tratta di diritti, sacrosanti, inerenti la personalità e la libertà del voto.

Dal punto di vista di chi si candida

Il monopolio della politica è in capo ai partiti. Ma qualcuno deve spiegarmi dove sta imposto?! Perché per far politica bisogna domandare il permesso a un partito o a un movimento? In Costituzione non sta scritto da nessuna parte. Chiunque può fare politica, all’unica condizione che riceva un numero di voti sufficiente. Gli unici giudizi imposti dalla Costituzione sono quelli degli elettori, non dei partiti.

La legge elettorale deve rispettare anche chi intenda assumersi le proprie sole ed uniche responsabilità davanti agli elettori, chi non intenda spartire il voto, ma “mettere la faccia” soltanto per sé stesso, in quanto capace di garantire soltanto in merito ai propri futuri atti e non a quelli di altri.

La legge elettorale

Per questi motivi, sono convinto che la legge elettorale debba prevedere la possibilità di candidarsi individualmente e indipendentemente, fuori da qualunque lista politica, in rappresentanza soltanto del proprio nome e cognome. L’ampiezza del territorio di candidatura dev’essere una scelta del candidato, subordinata, a parer mio secondo logica, soltanto alla presentazione di un numero di firme a sostegno della candidatura, proporzionale alla popolosità del territorio entro cui intenda candidarsi. Dopo di che, si fa la conta, stando a calcoli elettorali non certo facili e immediati, ma realizzabili: chi prende più voti viene eletto, fino ad esaurimento posti.

Ma questa maniera di votare e di candidarsi, proprio in quanto diritto tutelato dalla Costituzione, non intende prevaricare sull’altrettanto legittimo diritto di candidarsi e di votare per una lista politica. Convivenza dev’essere la parola d’ordine: diamo agli elettori la possibilità di votare per un partito, per un movimento o (liberamente) per una persona, e vediamo cosa succede.

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Il tramonto dell’ideale

IL TRAMONTO DELL'IDEALE

ideologia

Sono convinto che l'ideologia politica, non soltanto non sia più condivisa dalla società, ma sia diventata pure deleteria per regolamentare il buon vivere sociale.

La mala legge

Prendiamo ad esempio il femminicidio: quante parole, iniziative e campagne di sensibilizzazione sono state fatte? Eppure si continua a sentire notizie di donne trucidate dai propri compagni. Beh, ma questo significa che se ne parla male, si agisce male o si sensibilizza male. Di certo non si può dire che se ne parli poco, perché è da tempo una delle notizie principali dei nostri quotidiani nazionali e non solo. Ma tutto questo, ne sono convinto, ha una causa: lo scarso valore legislativo delle discussioni.

Dover continuare a mettere mano al c.d. "Codice rosso" è sintomo di provvedimenti legislativi inadeguati. Ed è stata l'esperienza personale che m'ha palesato l'inadeguatezza della legge: scoprii che una donna pesantemente pedinata non riceveva tutela dalle forze dell'ordine, di fondo, fino a quando non succedesse qualcosa... Anzi, nella pratica dei fatti, la tutela è intervenuta solo dopo ed in conseguenza del fatto che il soggetto in questione, a seguito di richiesta d'intervento delle forze dell'ordine, abbia aggredito queste ultime.

Si tratta di uno dei credo tanti esempi che si possano fare, ma palesa solo e soltanto una cosa: si legifera male! Non è possibile che del problema del femminicidio se ne discuta da così tanto tempo senza che si sia giunti ad una soluzione del fenomeno. E sono convinto che questo sia frutto del fatto che se ne parli con il cuore, piuttosto che con la testa. Perché sono convinto che la questione del femminicidio non possa essere rimessa in mano ai parenti delle vittime o alle donne indignate. Dev'essere messa nelle mani di chi vanti competenze in materia. Si tratta di padroneggiare il diritto penale, procedurale e sostanziale, oltre che un mucchio di altre competenze che non spettano "all'uomo qualunque".

Se vogliamo risolvere la questione è necessario che tutti coloro che si sentano indignati per il fenomeno, si adoperino per designare le persone maggiormente competenti in grado di affrontare con profitto la questione. Se continueremo ad occuparcene a slogan e proteste avremo sempre ragione, per carità, ma non contribuiremo a risolvere la questione. La sensibilizzazione è necessaria, ma opera sul lungo termine. Per evitare gli orrori e le disgrazie dei nostri giorni bisogna agire sulle menti oramai già bacate; e far questo richiede competenze specifiche e importanti. Competenze che non nascono dall'indignazione e dalla solidarietà, ma dall'esercizio di una professione.

La legge fatta e disfatta

L'ideologia porta allo scontro, no? Mira alla prevaricazione del tipo: "Se ho la maggioranza tu sei fuori". E questo significa che quando una fazione politica governa il Paese, si permette di prendere provvedimenti non condivisi dall'intero Parlamento. Vedi il reddito di cittadinanza, per fare soltanto un esempio, ma si potrebbe citare pure, sempre per esempio la questione della legalizzazione della cannabis ad uso terapeutico.

Non mi interessa concentrarmi sulla bontà o meno dei provvedimenti, quello che mi lascia esterefatto è: cosa significa fare una legge per poi eliminarla nel giro di 4/5 anni?! Quante risorse, tempo e soldi si sprecano a mettere in piedi un dettato legislativo per poi smontarlo? La politica così fatta è ciò che di più lontano possa esistere dalla giustizia. Perché non sarà mai, in nessun caso, giusta una legge nata, discussa e creata ad opera di un'unica fazione politica.

Vogliamo credere che la nostra ideologia politica sappia prevaricare? Liberissimi di farlo, però poi non lamentiamoci se la politica va col vento.

La competenza conviene all'ideale

No, la questione del femminicidio, dell'immigrazione, della legalizzazione della cannabis ad uso terapeutico e qualunque altra, non può essere risolta sulla base di ideologie, slogan o ideali. Non funziona così; sarebbe tutto troppo semplice. Vorrebbe dire che la politica la può fare chiunque. E invece no, ogni questione porta al suo interno una miriade di altre questioni, che soltanto chi vanti serie competenze può padroneggiare.

Torniamo umili, esprimiamoci su ciò che ci compete, torniamo utili alla nostra Nazione.
Ricerchiamo le competenze, non le chiacchiere. Sono le prime a fare la differenza.

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IL TRAMONTO DELL'IDEALE

ideologia

Sono convinto che l'ideologia politica, non soltanto non sia più condivisa dalla società, ma sia diventata pure deleteria per regolamentare il buon vivere sociale.

La mala legge

Prendiamo ad esempio il femminicidio: quante parole, iniziative e campagne di sensibilizzazione sono state fatte? Eppure si continua a sentire notizie di donne trucidate dai propri compagni. Beh, ma questo significa che se ne parla male, si agisce male o si sensibilizza male. Di certo non si può dire che se ne parli poco, perché è da tempo una delle notizie principali dei nostri quotidiani nazionali e non solo. Ma tutto questo, ne sono convinto, ha una causa: lo scarso valore legislativo delle discussioni.

Dover continuare a mettere mano al c.d. "Codice rosso" è sintomo di provvedimenti legislativi inadeguati. Si tratta di uno dei credo tanti esempi che si possano fare e palesa solo e soltanto una cosa: si legifera male! E sono convinto che questo sia frutto del fatto che se ne parli con il cuore, piuttosto che con la testa. Perché sono convinto che la questione del femminicidio non possa essere rimessa in mano ai parenti delle vittime o alle donne indignate. Dev'essere messa nelle mani di chi vanti competenze in materia. Si tratta di padroneggiare il diritto penale, procedurale e sostanziale, oltre che un mucchio di altre competenze che non spettano "all'uomo qualunque".

Se vogliamo risolvere la questione è necessario che tutti coloro che si sentano indignati per il fenomeno, si adoperino per designare le persone maggiormente competenti in grado di affrontare con profitto la questione. Se continueremo ad occuparcene a slogan e proteste avremo sempre ragione, ma non contribuiremo a risolvere la questione. La sensibilizzazione è necessaria, ma opera nel lungo termine. Per evitare le disgrazie dei nostri giorni bisogna agire sulle menti oramai bacate; e per fare questo servono competenze specifiche e importanti. Competenze che non nascono dall'indignazione e dalla solidarietà, ma dall'esercizio di una professione.

La legge fatta e disfatta

L'ideologia porta allo scontro, no? Mira alla prevaricazione del tipo: "Se ho la maggioranza tu sei fuori". E questo significa che quando una fazione politica governa il Paese si permette di prendere provvedimenti non condivisi dall'intero Parlamento. Vedi il reddito di cittadinanza, per fare soltanto un esempio.

Non mi interessa concentrarmi sulla bontà o meno dei provvedimenti, quello che mi lascia esterefatto è: cosa significa fare una legge per poi eliminarla nel giro di 4/5 anni?! Quante risorse, tempo e soldi si sprecano a mettere in piedi un dettato legislativo per poi smontarlo? La politica così fatta è ciò che di più lontano possa esistere dalla giustizia. Perché non sarà mai, in nessun caso, giusta una legge nata, discussa e creata ad opera di un'unica fazione politica.

Vogliamo credere che la nostra ideologia politica sappia prevaricare? Liberissimi di farlo, però poi non lamentiamoci se la politica va col vento.

La competenza conviene all'ideale

No, la questione del femminicidio, dell'immigrazione, della legalizzazione della cannabis ad uso terapeutico e qualunque altra, non può essere risolta sulla base di ideologie, slogan o ideali. Non funziona così; sarebbe tutto troppo semplice. Vorrebbe dire che la politica la può fare chiunque. E invece no, ogni questione porta al suo interno una miriade di altre questioni, che soltanto chi vanti serie competenze può padroneggiare.

Torniamo umili, esprimiamoci su ciò che ci compete, torniamo utili alla nostra Nazione.
Ricerchiamo le competenze, non le chiacchiere. Sono le prime a fare la differenza.

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Il ricorso

RIASSUNTO DEL PROCEDIMENTO

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La sintesi dello stato dell'arte

Io: “Non posso candidarmi da solo? Domando un giudizio sulla legittimità del divieto”.

La Giunta delle elezioni della Camera dei deputati: [Ho] “competenza a pronunciare giudizio definitivo […] solo al fine di verificare i titoli di ammissione degli eletti”. Tu sei un candidato. Non estendo le mie “funzioni anche ad un generalizzato controllo di legittimità sul procedimento elettorale”.
In poche parole: “Non posso pronunciarmi nel merito”,  che si traduce in: “Non hai diritto a un giudice”.

L’art. 66 della Costituzione italiana non vieta che le questioni inerenti il procedimento elettorale preparatorio siano risolte dalla magistratura ordinaria. La domanda però è: “I giudici saranno in grado di pronunciarsi in tempo utile, prima che inizino le elezioni?” Chiaramente no.

La Corte costituzionale definisce tutto ciò “un evidente vuoto di tutela giurisdizionale” nei confronti del passivo esercizio del diritto di voto, ed ha sollecitato più volte un intervento legislativo, mai intervenuto.

I - RICUSAZIONE E RICORSO

Il procedimento viene instaurato per mezzo di ricorso, presentato avverso il provvedimento di ricusazione della lista politica “Tomaso Picchioni”, che si caratterizzava per l’identificazione quale “forza politica”, piuttosto che quale “Partito” o “Movimento” politico, in ragione della sua composizione: un unico partecipante che risponde al nome della “lista”.

L’Ufficio centrale circoscrizionale di Milano, con sede presso la Corte d’Appello di Milano, ricusa la candidatura della lista politica “Tomaso Picchioni” il 23 Agosto 2022. Il destinatario del provvedimento ricorre al presidente dell’Ufficio centrale nazionale in data 27 Agosto 2022.
Di seguito le ragioni degli uni e dell’altro.

Le ragioni della ricusazione

Le ragioni addotte dall’Ufficio Centrale Circoscrizionale di Milano sono molteplici, in punti riassunte come segue:

  1. Non raccolsi abbastanza firme a sostegno della candidatura.
  2. Le firme che raccolsi non risultano autenticate.
  3. Non indicai chi candidavo assieme a me (nei collegi plurinominali e uninominali).
  4. Non autenticai la firma di accettazione della mia personale candidatura.

    Di seguito come risposi nel merito del ricorso.

1. Non raccolsi abbastanza firme

In merito alla mancata presentazione di un numero di firme sufficiente a sostegno della candidatura, nel ricorso affermo che:

  1.  Il numero di firme è da proporzionarsi al numero di potenziali eletti: uno soltanto nel caso della candidatura individuale; potenzialmente l’intero Parlamento nel caso della candidatura di lista.
  2. Le firme devono potersi raccogliere in tutto il territorio nazionale (proporzionalmente alla popolosità del territorio entro cui s’intenda candidarsi), in quanto “il parlamentare rappresenta la Nazione”. Motivo per cui l’imposizione di un unico collegio elettorale maggioritario risulti irragionevolmente restrittiva nei confronti del passivo esercizio del diritto di voto.
  3. Si riscontra “più di un impedimento nel diffondere un messaggio precluso dalla legge”.
  4. Raccolsi firme al solo scopo di adempiere le formalità necessarie a presentare ricorso.

2. Le firme che raccolsi non risultano autenticate

Si fa presente il nominativo dell’avvocato iscritto all’albo del cui ausilio si avvalse il ricorrente al fine di autenticare le firme a sostegno della propria candidatura politica.

3. Non indicai chi candidavo assieme a me

In merito alla mancata indicazione dei nominativi dei candidati all’interno dei collegi elettorali uninominali e plurinominali previsti dalla legge elettorale vigente, rispondo quanto segue:

  1.  L’identificazione di lista impone lo snaturamento della candidatura politica del ricorrente, il quale al contrario “intende assumersi le proprie sole ed uniche responsabilità elettorali”.
  2. La candidatura all’interno del collegio uninominale in concreto prevista dalla legge elettorale vigente risulta comunque ancorata ad una lista politica.
  3. Il collegio uninominale considerato in astratto all’interno di un sistema elettorale maggioritario puro risulterebbe ancora insufficiente in quanto limiterebbe irragionevolmente le potenzialità elettorali del ricorrente, il quale avrebbe interesse a raccogliere voti in un territorio di dimensioni maggiori rispetto a quelle del proprio collegio d’appartenenza.

4. Non feci autenticare la firma di accettazione della mia candidatura

Il ricorrente afferma che l’accettazione “possa considerarsi espressa nella dichiarazione di trasparenza depositata contestualmente al contrassegno elettorale, all’interno della quale si fa esplicito riferimento all’unitarietà della candidatura presentata.

A tutto ciò si aggiunse che non intesi presentare ricorso al fine d’esser riammesso al procedimento elettorale oramai concluso, ma di domandare la sollevazione di una questione di legittimità costituzionale, in vista della futura presentazione della medesima candidatura unitaria alle successive elezioni politiche.

II - RIGETTO E RECLAMO

Il 28 Agosto 2022 l’Ufficio centrale nazionale rigetta il ricorso mediante provvedimento avverso il quale l’interessato presenta reclamo alla Giunta delle elezioni della Camera dei deputati, ubicata presso la Corte di cassazione.
Di seguito si descrivono le ragioni delle parti in causa.

Le ragioni del rigetto

L’Ufficio centrale nazionale rigetta il ricorso in quanto inammissibile “sotto più profili”:

  1.  “[N]on diretto a contestare la decisione impugnata”, bensì la legittimità costituzionale di una specifica norma della legge elettorale.
  2.  La corte costituzionale italiana è adibile soltanto in via incidentale.
  3.  Manca la considerazione dei requisiti di ammissibilità e rilevanza della questione.
  4.  Mancata indicazione delle norme costituzionali che si ritengano violate.
  5.  Inconferenza del parametro costituzionale della “personalità del voto”.

    Di seguito se ne considerano una per volta.

1. Non contesto la decisione impugnata, ma chiedo una verifica della sua legittimità

Non domando la riammissione al procedimento elettorale oramai concluso in quanto consapevole che “l’eventuale riammissione comporterebbe […] l’illegittima estromissione di ogni altro cittadino elettore”, con la conseguente necessità di ripetere l’intero procedimento elettorale, in assenza di una legge che tuteli il libero e passivo esercizio del diritto di voto.
Domando per questo un giudizio in merito alla costituzionalità della mia estromissione dal procedimento elettorale preparatorio, in previsione della medesima e futura candidatura politica.

Non esiste altra via per domandare tutela giurisdizionale del passivo esercizio del diritto di voto.

2. La Corte costituzionale è adibile soltanto in via incidentale

A riguardo il ricorrente specifica che non gli sarà mai permesso di sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale in quanto questa o non sarebbe valutabile in tempo utile ad un’effettiva tutela del diritto, ovvero nei fatti non si individuerebbe un organo giurisdizionale che abbia la competenza a pronunciarsi nel merito della questione proposta dal ricorrente.

3. Manca la considerazione dei requisiti di ammissibilità e rilevanza della questione

Il ricorrente richiama la pronuncia della Corte costituzionale n. 1/2014, dove si chiarisce che “la circostanza che la dedotta incostituzionaliità di una o più norme legislative costituisca l’unico motivo di ricorso dinanzi al giudice a quo, non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni qual volta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione”. Petitum che il ricorrente, oggi, identifica nella contestazione della dichiarazione di mancata autenticazione delle firme a sostegno della candidatura.
Prosegue la stessa sentenza nel senso di come l’ammissibilità della questione si desuma anche “dalla peculiarità e dal rilievo costituzionale” del diritto oggetto di accertamento, nonché della rilevanza costituzionale delle leggi elettorali, che non possono essere immuni dal suo sindacato, “se non a pena di creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale”.

4. Mancata indicazione delle norme violate

Il ricorrente premette che il ricorso dallo stesso intentato, “sia presentabile da un qualunuqe cittadino elettore, motivo per cui […] urge premettere la sostanza alla forma, non potendosi attendere da chiunque una tale padronanza del diritto costituzionale“.

Ad ogni modo specifica di ritenere che “l’incostituzionalità […] dell’art. 18-bis del D.P.R. n. 361/1957 sia da ravvisarsi con riguardo al principio della personalità del voto (art. 48 Cost) […] in correlato disposto all’articolo 1 Cost” per cui la sovranità appartiene al popolo. Personalità del voto lesa, ad avviso del ricorrente, per mezzo dell’elezione indiretta dei propri rappresentanti, mediata dagli ordini di lista.

Con riferimento al comma 2-bis dell’art. 18 del D.P.R. 361/1957 “, il ricorrente richiama il correlato disposto del medesimo articolo 1 della Costituzione […] insieme al principio della libertà del voto indicato nell’articolo 48 della Costituzione” “ed al principio della rappresentanza nazionale propria della rappresentanza parlamentare sancito dall’articolo 67 della Costituzione italiana. Essi, insieme considerati, ad avviso del ricorrente privano di legittimità costituzionale la previsione legislativa succitata nel momento in cui impone una limitazione all’esercizio del diritto di voto irragionevole e non funzionale al principio della rappresentanza nazionale proprio di quella parlamentare.

III - L'ARCHIVIAZIONE DEL RECLAMO

Il 28 Luglio 2023 il presidente della Giunta delle elezioni della Camera dei deputati notifica “l’archiviazione per manifesta inammissibilità del reclamo”.

Le ragioni dell'archiviazione

Dal resoconto della seduta del 25 Aprile 2023 della Giunta delle elezioni della Camera dei deputati, si evince che:

  1. Richiama “il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità […] secondo cui rispetto alle decisioni dell’Ufficio centrale nazionale sussiste difetto assoluto di giurisdizione, sia del giudice ordinario che del giudice amministrativo”, rimettendo il giudizio alle Assemblee parlamentari, al fine “di garantire l’indipendenza del Parlamento”.
  2.  Sin dalla XV legislatura la Giunta delle elezioni, richiamandosi all’articolo 66 della Costituzione ed ai sensi dell’art. 87 D.P.R. 361/57, non si pronuncia nel merito di questioni attinenti candidati non dichiarati eletti, perché se “per ipotesi” lo facesse si farebbe carico di una prerogativa che non compete alla “verifica dei poteri”: la potenziale indizione di nuove elezioni.
  3. La Corte “ha dichiarato tale vuoto di tutela incompatibile con i principi dello stato di diritto e quindi individua l’azione di accertamento di fronte al giudice ordinario quale rimedio possibile”.
  4. La Giunta delle elezioni richiama il progetto di legge approvato nel corso della XVIII legislatura in Senato, volto a sanare il vuoto legislativo, ma specifica come il provvedimento non abbia preso vita in ragione della fine anticipata della Legislatura. Ripresentato nella Legislatura in corso.

IV - FATTI E PROSPETTIVE

Allo stato dei fatti, non esiste organo, giurisdizionale o amministrativo, che si pronunci nel merito del ricorso da me presentanto in data 27 Agosto 2022.

Del vuoto di tutela giurisdizionale che ne deriva ne è già stato più volte messo al corrente il Parlamento. Ad oggi però la soluzione rimane in “progetto”, e noi cittadini scontiamo la carenza di uno dei principi cardine dello stato di diritto: il diritto al giudice naturale. Lesione che si ravvisa maggiormente inflittiva in considerazione del fatto che incida sulla pienezza dell’esercizio dei diritti politici fondamentali, in particolar modo nei riguardi del passivo esercizio del diritto di voto.

Non può infondere fiducia uno Stato che neghi l’esercizio passivo del diritto di voto ad un cittadino che voglia legittimamente esercitarlo.
Non può definirsi pienamente democratico uno Stato che non preveda un giudizio nel merito del divieto.

Cambiare si può… Facendo come me, candidandosi da soli, in rappresentanza delle proprie sole capacità, a rappresentare la Nazione senz’altro intermediario diverso dal popolo, l’unico imposta dalla Costituzione italiana. Fuori da partiti o da movimenti politici. Non si chiama anarchia né tantomeno populismo; prende il nome di “rivoluzione”, vera, legittima e pacifica. E dipende soltanto da noi.

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RIASSUNTO DEL PROCEDIMENTO

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La sintesi dello stato dell'arte

Io: “Non posso candidarmi da solo? Domando un giudizio sulla legittimità del divieto”.

La Giunta delle elezioni della Camera dei deputati: [Ho] “competenza a pronunciare giudizio definitivo […] solo al fine di verificare i titoli di ammissione degli eletti”. Tu sei un candidato. Non estendo le mie “funzioni anche ad un generalizzato controllo di legittimità sul procedimento elettorale”.
In poche parole: “Non posso pronunciarmi nel merito”,  che si traduce in: “Non hai diritto a un giudice”.

L’art. 66 della Costituzione italiana non vieta che le questioni inerenti il procedimento elettorale preparatorio siano risolte dalla magistratura ordinaria. La domanda però è: “I giudici saranno in grado di pronunciarsi in tempo utile, prima che inizino le elezioni?” Chiaramente no.

La Corte costituzionale definisce tutto ciò “un evidente vuoto di tutela giurisdizionale” nei confronti del passivo esercizio del diritto di voto, ed ha sollecitato più volte un intervento legislativo, mai intervenuto.

I - RICUSAZIONE E RICORSO

Il procedimento viene instaurato per mezzo di ricorso, presentato avverso il provvedimento di ricusazione della lista politica “Tomaso Picchioni”, che si caratterizzava per l’identificazione quale “forza politica”, piuttosto che quale “Partito” o “Movimento” politico, in ragione della sua composizione: un unico partecipante che risponde al nome della “lista”.

L’Ufficio centrale circoscrizionale di Milano, con sede presso la Corte d’Appello di Milano, ricusa la candidatura della lista politica “Tomaso Picchioni” il 23 Agosto 2022. Il destinatario del provvedimento ricorre al presidente dell’Ufficio centrale nazionale in data 27 Agosto 2022.
Di seguito le ragioni degli uni e dell’altro.

Le ragioni della ricusazione

Le ragioni addotte dall’Ufficio Centrale Circoscrizionale di Milano sono molteplici, in punti riassunte come segue:

  1. Non raccolsi abbastanza firme a sostegno della candidatura.
  2. Le firme che raccolsi non risultano autenticate.
  3. Non indicai chi candidavo assieme a me (nei collegi plurinominali e uninominali).
  4. Non autenticai la firma di accettazione della mia personale candidatura.

    Di seguito come risposi nel merito del ricorso.

1. Non raccolsi abbastanza firme

In merito alla mancata presentazione di un numero di firme sufficiente a sostegno della candidatura, nel ricorso affermo che:

  1.  Il numero di firme è da proporzionarsi al numero di potenziali eletti: uno soltanto nel caso della candidatura individuale; potenzialmente l’intero Parlamento nel caso della candidatura di lista.
  2. Le firme devono potersi raccogliere in tutto il territorio nazionale (proporzionalmente alla popolosità del territorio entro cui s’intenda candidarsi), in quanto “il parlamentare rappresenta la Nazione”. Motivo per cui l’imposizione di un unico collegio elettorale maggioritario risulti irragionevolmente restrittiva nei confronti del passivo esercizio del diritto di voto.
  3. Si riscontra “più di un impedimento nel diffondere un messaggio precluso dalla legge”.
  4. Raccolsi firme al solo scopo di adempiere le formalità necessarie a presentare ricorso.

2. Le firme che raccolsi non risultano autenticate

Si fa presente il nominativo dell’avvocato iscritto all’albo del cui ausilio si avvalse il ricorrente al fine di autenticare le firme a sostegno della propria candidatura politica.

3. Non indicai chi candidavo assieme a me

In merito alla mancata indicazione dei nominativi dei candidati all’interno dei collegi elettorali uninominali e plurinominali previsti dalla legge elettorale vigente, rispondo quanto segue:

  1.  L’identificazione di lista impone lo snaturamento della candidatura politica del ricorrente, il quale al contrario “intende assumersi le proprie sole ed uniche responsabilità elettorali”.
  2. La candidatura all’interno del collegio uninominale in concreto prevista dalla legge elettorale vigente risulta comunque ancorata ad una lista politica.
  3. Il collegio uninominale considerato in astratto all’interno di un sistema elettorale maggioritario puro risulterebbe ancora insufficiente in quanto limiterebbe irragionevolmente le potenzialità elettorali del ricorrente, il quale avrebbe interesse a raccogliere voti in un territorio di dimensioni maggiori rispetto a quelle del proprio collegio d’appartenenza.

4. Non feci autenticare la firma di accettazione della mia candidatura

Il ricorrente afferma che l’accettazione “possa considerarsi espressa nella dichiarazione di trasparenza depositata contestualmente al contrassegno elettorale, all’interno della quale si fa esplicito riferimento all’unitarietà della candidatura presentata.

A tutto ciò si aggiunse che non intesi presentare ricorso al fine d’esser riammesso al procedimento elettorale oramai concluso, ma di domandare la sollevazione di una questione di legittimità costituzionale, in vista della futura presentazione della medesima candidatura unitaria alle successive elezioni politiche.

II - RIGETTO E RECLAMO

Il 28 Agosto 2022 l’Ufficio centrale nazionale rigetta il ricorso mediante provvedimento avverso il quale l’interessato presenta reclamo alla Giunta delle elezioni della Camera dei deputati, ubicata presso la Corte di cassazione.
Di seguito si descrivono le ragioni delle parti in causa.

Le ragioni del rigetto

L’Ufficio centrale nazionale rigetta il ricorso in quanto inammissibile “sotto più profili”:

  1.  “[N]on diretto a contestare la decisione impugnata”, bensì la legittimità costituzionale di una specifica norma della legge elettorale.
  2.  La corte costituzionale italiana è adibile soltanto in via incidentale.
  3.  Manca la considerazione dei requisiti di ammissibilità e rilevanza della questione.
  4.  Mancata indicazione delle norme costituzionali che si ritengano violate.
  5.  Inconferenza del parametro costituzionale della “personalità del voto”.

    Di seguito se ne considerano una per volta.

1. Non contesto la decisione impugnata, ma chiedo una verifica della sua legittimità

Non domando la riammissione al procedimento elettorale oramai concluso in quanto consapevole che “l’eventuale riammissione comporterebbe […] l’illegittima estromissione di ogni altro cittadino elettore”, con la conseguente necessità di ripetere l’intero procedimento elettorale, in assenza di una legge che tuteli il libero e passivo esercizio del diritto di voto.
Domando per questo un giudizio in merito alla costituzionalità della mia estromissione dal procedimento elettorale preparatorio, in previsione della medesima e futura candidatura politica.

Non esiste altra via per domandare tutela giurisdizionale del passivo esercizio del diritto di voto.

2. La Corte costituzionale è adibile soltanto in via incidentale

A riguardo il ricorrente specifica che non gli sarà mai permesso di sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale in quanto questa o non sarebbe valutabile in tempo utile ad un’effettiva tutela del diritto, ovvero nei fatti non si individuerebbe un organo giurisdizionale che abbia la competenza a pronunciarsi nel merito della questione proposta dal ricorrente.

3. Manca la considerazione dei requisiti di ammissibilità e rilevanza della questione

Il ricorrente richiama la pronuncia della Corte costituzionale n. 1/2014, dove si chiarisce che “la circostanza che la dedotta incostituzionaliità di una o più norme legislative costituisca l’unico motivo di ricorso dinanzi al giudice a quo, non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni qual volta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione”. Petitum che il ricorrente, oggi, identifica nella contestazione della dichiarazione di mancata autenticazione delle firme a sostegno della candidatura.
Prosegue la stessa sentenza nel senso di come l’ammissibilità della questione si desuma anche “dalla peculiarità e dal rilievo costituzionale” del diritto oggetto di accertamento, nonché della rilevanza costituzionale delle leggi elettorali, che non possono essere immuni dal suo sindacato, “se non a pena di creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale”.

4. Mancata indicazione delle norme violate

Il ricorrente premette che il ricorso dallo stesso intentato, “sia presentabile da un qualunuqe cittadino elettore, motivo per cui […] urge premettere la sostanza alla forma, non potendosi attendere da chiunque una tale padronanza del diritto costituzionale“.

Ad ogni modo specifica di ritenere che “l’incostituzionalità […] dell’art. 18-bis del D.P.R. n. 361/1957 sia da ravvisarsi con riguardo al principio della personalità del voto (art. 48 Cost) […] in correlato disposto all’articolo 1 Cost” per cui la sovranità appartiene al popolo. Personalità del voto lesa, ad avviso del ricorrente, per mezzo dell’elezione indiretta dei propri rappresentanti, mediata dagli ordini di lista.

Con riferimento al comma 2-bis dell’art. 18 del D.P.R. 361/1957 “, il ricorrente richiama il correlato disposto del medesimo articolo 1 della Costituzione […] insieme al principio della libertà del voto indicato nell’articolo 48 della Costituzione” “ed al principio della rappresentanza nazionale propria della rappresentanza parlamentare sancito dall’articolo 67 della Costituzione italiana. Essi, insieme considerati, ad avviso del ricorrente privano di legittimità costituzionale la previsione legislativa succitata nel momento in cui impone una limitazione all’esercizio del diritto di voto irragionevole e non funzionale al principio della rappresentanza nazionale proprio di quella parlamentare.

III - L'ARCHIVIAZIONE DEL RECLAMO

Il 28 Luglio 2023 il presidente della Giunta delle elezioni della Camera dei deputati notifica “l’archiviazione per manifesta inammissibilità del reclamo”.

Le ragioni dell'archiviazione

Dal resoconto della seduta del 25 Aprile 2023 della Giunta delle elezioni della Camera dei deputati, si evince che:

  1. Richiama “il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità […] secondo cui rispetto alle decisioni dell’Ufficio centrale nazionale sussiste difetto assoluto di giurisdizione, sia del giudice ordinario che del giudice amministrativo”, rimettendo il giudizio alle Assemblee parlamentari, al fine “di garantire l’indipendenza del Parlamento”.
  2.  Sin dalla XV legislatura la Giunta delle elezioni, richiamandosi all’articolo 66 della Costituzione ed ai sensi dell’art. 87 D.P.R. 361/57, non si pronuncia nel merito di questioni attinenti candidati non dichiarati eletti, perché se “per ipotesi” lo facesse si farebbe carico di una prerogativa che non compete alla “verifica dei poteri”: la potenziale indizione di nuove elezioni.
  3. La Corte “ha dichiarato tale vuoto di tutela incompatibile con i principi dello stato di diritto e quindi individua l’azione di accertamento di fronte al giudice ordinario quale rimedio possibile”.
  4. La Giunta delle elezioni richiama il progetto di legge approvato nel corso della XVIII legislatura in Senato, volto a sanare il vuoto legislativo, ma specifica come il provvedimento non abbia preso vita in ragione della fine anticipata della Legislatura. Ripresentato nella Legislatura in corso.

IV - FATTI E PROSPETTIVE

Allo stato dei fatti, non esiste organo, giurisdizionale o amministrativo, che si pronunci nel merito del ricorso da me presentanto in data 27 Agosto 2022.

Del vuoto di tutela giurisdizionale che ne deriva ne è già stato più volte messo al corrente il Parlamento. Ad oggi però la soluzione rimane in “progetto”, e noi cittadini scontiamo la carenza di uno dei principi cardine dello stato di diritto: il diritto al giudice naturale. Lesione che si ravvisa maggiormente inflittiva in considerazione del fatto che incida sulla pienezza dell’esercizio dei diritti politici fondamentali, in particolar modo nei riguardi del passivo esercizio del diritto di voto.

Non può infondere fiducia uno Stato che neghi l’esercizio passivo del diritto di voto ad un cittadino che voglia legittimamente esercitarlo.
Non può definirsi pienamente democratico uno ordinamento che non preveda un giudizio nel merito del divieto di candidarsi.

Cambiare si può… Facendo come me, candidandosi da soli, in rappresentanza delle proprie sole capacità, a rappresentare la Nazione senz’altro intermediario diverso dal popolo, l’unico imposta dalla Costituzione italiana. Ognuono, chiunque voglia, per se stesso, fuori da partiti o da movimenti politici. Non si chiama anarchia né tantomeno populismo; prende il nome di “rivoluzione”, vera, legittima e pacifica. E dipende soltanto da noi.

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La politica dei giovani

LA POLITICA DEI GIOVANI

Ridare la voce ai giovani

“La politica dei giovani”, sembra quasi una contraddizione. Di politica se ne occupano per lo più non giovani e, soprattutto, tanti giovani oggi non se ne preoccupano proprio. Perché la politica dei nostri giorni, probabilmente, è ciò che di più lontano ci possa essere dai ragazzi nati negli anni 2000. E tutto questo seppur la politica viva per i giovani ed esista per loro. Dato che qualunque buona politica nasce prima di tutto dalla lungimiranza: dal pensiero alle future generazioni, alle generazioni di chi crescerà e di chi nascerà.

Una politica che si occupi di altro che non siano i giovani, che si preoccupi di tener salde le redini del presente, più che politica, sembra amministrazione, pura e semplice amministrazione. Perché non è in grado di prospettare un futuro una politica che viva nell’emergenza e si accontenti del pane quotidiano. Forse sarà in grado di affrontare il presente. Forse. Ma di certo non sarà cosciente di cosa l’aspetti “dietro l’angolo”.

Ci siamo anche noi

L’apprensione per il futuro è qualcosa che riguarda i giovani. E lo Stato deve dargli una mano. I ragazzi hanno bisogno di organizzare il proprio futuro, di sentire che dipende da loro e di nutrirvi fiducia. Perché trovare il proprio posto nella società è forse la principale preoccupazione di ogni essere vivente. E di questo la Repubblica deve farsi carico in prima persona e con prevalenza.

Vogliamo far finta che tutto ciò non sia vero? Vogliamo ignorare la scarsa affluenza giovanile alle urne così come ignoriamo l’astensionismo tutto intero? O, forse e peggio, vogliamo imporre delle quote giovanili nelle liste politiche, un po’ come facciamo per le donne, così da dare una parvenza di gioventù? Siamo liberi di farlo, ma la questione è molto più profonda. Perché generare la fiducia delle giovani generazioni nella politica richiede uno sforzo che vada oltre il marchingegno. Perché il giovane si affidi alla politica bisogna che sia messo nelle condizioni di parteciparvi. Attivamente e in prima persona. Bisogna che possa candidarsi da solo, senza chiedere permesso a nessun partito o movimento politico. Avvalendosi liberamente dei propri strumenti, quelli coi quali la fa da padrone: internet e i social network.

Siamo indispensabili

Un giovane che deve scegliere tra PD, LEGA, M5S, PAPARAPAPPAPPA’, sai cosa fa? Non sceglie.

Mentre un giovane che potesse scegliere di votare un suo coetaneo, sai forse cosa farebbe? Prima ancora di votarlo? Penserebbe: “Sai che quasi quasi ci provo anche io, tanto cosa mi costa?”.

E questo cosa significa? Significa che i social, che oggi svolgono un ruolo più che altro di intrattenimento, inizierebbero a diventare fucina di nuove discussioni, che vertano, prima di tutto, sulla politica giovanile.
Perché è chiaro come il sole che di nuove tecnologie siano in grado di occuparsi con maggior profitto i giovani. Perché ci sono nati, ci crescono e ne percepiscono il potenziale. I giovani sono in grado di fare dei ragionamenti che vadano oltre l’adeguamento dei tempi. Sono in grado di descrivere i tempi futuri, di anticiparli e di incanalarli. Ma tutto questo deve avere un riscontro politico. Altrimenti rimarranno soltanto le giuste idee di una generazione senza rappresentanza.

E quali siano i giovani meglio adattabili alla politica è una decisione che spetta ai giovani. Sono loro che devono scegliere i propri rappresentanti. Perché per far politica non basta essere giovani, serve prima di tutto la competenza. E non ogni ragazzo si intende di nuove tecnologie o di Università come tutti gli altri.

Lasciate che vi s'insegni qualcosa

Riconoscere ai giovani il ruolo che gli spetta è diventata una necessità. La società sta cambiando talmente rapidamente che è stupido credere che le vecchie generazioni siano in grado di affrontare le nuove sfide che si appropinquano sulla scena politica.E’ un bene che le generazioni più anziane continuino a mettere in campo la propria esperienza, ma bisogna che lo facciano con umiltà e senza presunzione. Perché da che mondo è mondo l’anziano racconta e il giovane ascolta e impara. Ma quando giovane e anziano si trovano a discutere dello stesso mondo, chi vince è chi in grado di imparare di più dall’altro. E allora forse vale la pena che, con riguardo a certe specifiche questioni, l’adulto abbia l’umiltà di ascoltare ed imparare.

“Collaborazione” deve essere la parola d’ordine. Collaborazione tra giovani e adulti, ma che sia vera e non imposta. I giovani devono scegliere i propri rappresentanti e gli adulti idem.
Ridiamo la voce ai giovani. Anzi, noi che siamo giovani, riprendiamocela! Rivendichiamo il diritto a candidarci da soli, liberamente, in rappresentanza dei nostri bisogni e delle nostre capacità. Scegliamo tra chi vive la nostra vita, tra chi conosce i nostri problemi. Dimostriamo di essere competenti, magari con poca esperienza, ma con tanta voglia di imparare e di assumerci le nostre responsabilità. Dimostriamo che anche noi abbiamo qualcosa da insegnare.

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LA POLITICA DEI GIOVANI

Ridare la voce ai giovani

“La politica dei giovani”, sembra quasi una contraddizione. Di politica se ne occupano per lo più non giovani e, soprattutto, tanti giovani oggi non se ne preoccupano proprio. Perché la politica, probabilmente, è ciò che di più lontano ci possa essere dai ragazzi nati negli anni 2000. E tutto questo succede seppur la politica viva per i giovani ed esista per loro, dato che qualunque buona politica nasce prima di tutto dalla lungimiranza: dal pensiero alle future generazioni; alle generazioni di chi crescerà e di chi nascerà.

Una politica che si occupi di altro che non siano i giovani, che si preoccupi di tener salde le redini del presente, più che politica, sembra amministrazione, pura e semplice amministrazione. Perché non è in grado di prospettare un futuro una politica che viva nell’emergenza e si accontenti del pane quotidiano. Forse sarà in grado di affrontare il presente. Forse. Ma di certo non sarà cosciente di cosa l’aspetti “dietro l’angolo”.

Ci siamo anche noi

L’apprensione per il futuro è qualcosa che riguarda i giovani. E lo Stato deve dargli una mano. I ragazzi devono sentire che il proprio futuro dipende da loro. Devono avere fiducia nel futuro. Perché trovare il proprio posto nella società è forse la principale preoccupazione di ogni esere vivente. E di questo la Repubblica deve farsi carico in prima persona e con prevalenza.

Vogliamo far finta che tutto ciò non sia vero? Vogliamo ignorare la scarsa affluenza giovanile alle urne così come ignoriamo l’astensionismo tutto intero? O, forse e peggio, vogliamo imporre delle quote giovanili nelle liste politiche, un po’ come facciamo per le donne, così da dare una parvenza di gioventù? Siamo liberi di farlo, ma la questione è molto più profonda. Perché generare la fiducia delle giovani generazioni nella politica richiede uno sforzo che vada oltre il marchingegno. Perché il giovane si affidi alla politica bisogna che sia messo nelle condizioni di parteciparvi. Attivamente e in prima persona. Bisogna che possa candidarsi da solo, senza chiedere permesso a nessun partito o movimento politico. Avvalendosi liberamente dei propri strumenti, quelli coi quali la fa da padrone: internet e i social network.96

Siamo indispensabili

Un giovane che deve scegliere tra PD, LEGA, M5S, PAPARAPAPPAPPA’, sai cosa fa? Non sceglie.

Mentre un giovane che potesse scegliere di votare un suo coetaneo, sai forse cosa farebbe? Prima ancora di votarlo? Penserebbe: “Sai che quasi quasi ci provo anche io, tanto cosa mi costa?”.

E questo cosa significa? Significa che i social network che oggi servono più che altro a intrattenere, inizierebbero a diventare fucina di nuove discussioni, che vertano, prima di tutto, sulla politica giovanile.
Perché è chiaro come il sole che di nuove tecnologie siano in grado di occuparsi con maggior profitto i giovani. Perché ci sono nati, ci crescono e ne percepiscono il potenziale. I giovani sono in grado di fare dei ragionamenti che vadano oltre l’adeguamento dei tempi. Sono in grado di descrivere i tempi futuri, di anticiparli e di incanalarli. Ma tutto questo deve avere un riscontro politico. Altrimenti rimarranno soltanto le giuste idee di una generazione senza rappresentanza.

E quali siano i giovani meglio adattabili alla politica è una decisione che spetta ai giovani. Sono loro che devono scegliere i propri rappresentanti. Perché per far politica non basta essere giovani, serve prima di tutto la competenza. E non ogni ragazzo si intende di nuove tecnologie o di Università come tutti gli altri.

Lasciate che vi s'insegni qualcosa

Rimettere la politica in capo ai giovani è diventata una necessità. La società sta cambiando talmente rapidamente che è stupido credere che le vecchie generazioni siano in grado di affrontare le nuove sfide che si appropinquano sulla scena politica. E’ un bene che le generazioni più anziane continuino a mettere in campo la propria esperienza, ma bisogna che lo facciano con umiltà e senza presunzione. Perché da che mondo è mondo l’anziano racconta e il giovane ascolta e impara. Ma quando giovane e anziano si trovano a discutere dello stesso mondo, chi la spunta è chi in grado di imparare di più dall’altro. E allora forse vale la pena che, con riguardo a certe specifiche questioni, l’anziano abbia l’umiltà di ascoltare e di imparare.

“Collaborazione” deve essere la parola d’ordine. Collaborazione tra giovani e adulti, ma che sia vera e non imposta. I giovani devono scegliere i propri rappresentanti e gli adulti idem.
Ridiamo la voce ai giovani. Anzi, noi che siamo giovani, riprendiamocela! Rivendichiamo il diritto a candidarci da soli, liberamente, in rappresentanza dei nostri bisogni e delle nostre capacità. Il diritto a votare per chi vive la nostra vita e conosce i nostri problemi. Dimostriamo di essere competenti, magari con poca esperienza, ma con tanta voglia di imparare e di assumerci le nostre responsabilità.  Dimostriamo che anche noi abbiamo qualcosa da insegnare.

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Partitocrazia

PARTITOCRAZIA

Listocrazia

Viviamo in una partitocrazia, anzi, meglio, in una listocrazia, e nessuno lo può negare. Funziona così: chi decide i politici è sovrano. Se fosse il popolo a scegliere, staremmo parlando di una democrazia, ma purtroppo il popolo decide solo indirettamente, quindi è meglio definirla democrazia mediata o, in una parola appunto, listocrazia. Perché i politici li decidono le segreterie di partito o di movimento tramite l’ordine di lista e l’elettore qualunque non ha voce in capitolo.

E’ la verità, nessuno di noi può sapere chi contribuisce ad eleggere con il proprio voto. Rimettiamo, per forza di cose, gli effetti del voto in capo al caso e all’ordine di lista. Non possiamo conoscere i nomi e i cognomi di tutti coloro che concorriamo ad eleggere.

E tutto ciò è una nostra scelta. Perché in Costituzione sta scritto che “la sovranità appartiene al popolo”, ed è la verità: noi, come popolo, decidiamo di vivere in una listocrazia. Accettiamo che per far politica sia necessario far parte di una lista di candidati, e così facendo ci precludiamo il diritto di scegliere i nostri politici. Ci precludiamo il diritto di votare responsabilmente.

No al voto di preferenza

A nulla vale il discorso per cui: “Vorrei esprimere un voto di preferenza”, perché il voto di preferenza rimane sempre, comunque e in ogni caso legato ad una lista politica. Anche se decidi di scrivere sulla scheda elettorale il nome e il cognome di un singolo candidato, il tuo voto non contribuirà esclusivamente all’elezione di quella specifica persona, ma anche di tutte le altre che fanno parte della stessa lista. Sceglierai un singolo politico, ma lo farai dopo aver accettato l’intera lista. Semplicemente, tra tutti quelli che ti verranno presentati, dirai: “Preferisco lui, ma comunque tutti gli altri mi vanno bene”. Il voto di preferenza non permette di responsabilizzarsi pienamente e veramente.

 

No al sistema maggioritario puro

Allo stesso modo, poi, non vale nemmeno il discorso per cui “Il sistema maggioritario puro permetta di assumersi le proprie piene responsabilità elettorali”, perché, è vero, si tratta di un sistema che permette di votare una singola persona, ma rimane un voto pilotato, non libero, che non dà la possibilità di votare per chiunque, ma soltanto per coloro che facciano parte dello stesso collegio elettorale. E qual’è il motivo di tutto ciò? Perché non è permesso di votare liberamente? Il voto è rivolto a chi si candida a rappresentare la Nazione (ex art. 67 Cost.), o mi sbaglio? Allora, perché, per esempio, da bresciano non posso votare un sardo? E allo stesso modo, perché un sardo non può raccogliere i propri voti anche in Lombardia?

 

Il partito non è necessario

La Costituzione non impone una listocrazia. Non prevede che per far politica si debba far parte di una lista di candidati, cioè di un partito o di un movimento. La Costituzione ne garantisce la possibilità, dato che specifica che è sempre possibile organizzarsi in partiti politici per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Ma questo è lontano anni luce dall’essere un’imposizione. Si tratta di una facoltà garantita per legge, che il sentire comune ha identificato come necessità, arrivando ad affermare che “O fai parte di un partito, oppure non fai politica”. Ma il sentire comune si piega alla volontà della maggioranza. Perché prima della prassi viene la Costituzione. E questa garantisce che tu possa far politica da solo, che tu possa votare un unico politico, insomma, che tu possa responsabilizzarti politicamente.

Ci lamentiamo che i partiti politici abbiano perso di credibilità e di rappresentanza, eppure continuiamo ad accettare silenziosamente che siano loro gli unici attori della vita politica, seppur la Costituzione ci permetta di rivendicare la titolarità di un’altra politica. Per Costituzione siamo certi che qualora domandassimo di far politica come persone, invece che come partiti, saremmo i primi ad essere ascoltati, invece preferiamo lamentarci dei partiti.

Non c’è dell’ipocrisia in tutto questo? O si decide che della politica se ne occupino i partiti e lo si accetta; oppure si decide che della politica ci pensino le persone libere.
Delle due l’una, ma se si decide di rimettere tutto in capo ai partiti politici non ha valore alcuna critica, perché qualunque cosa accada è da considerarsi frutto di una nostra scelta responsabile.

 

Viviamo in una partitocrazia, anzi, meglio, in una listocrazia, e nessuno lo può negare. Funziona così: chi decide i politici è sovrano. Se fosse il popolo a scegliere, staremmo parlando di una democrazia, ma purtroppo il popolo decide solo indirettamente, quindi è meglio definirla democrazia mediata o, in una parola appunto, listocrazia. Perché i politici li decidono le segreterie di partito o di movimento tramite l’ordine di lista e l’elettore qualunque non ha voce in capitolo.

E’ la verità, nessuno di noi può sapere chi contribuisce ad eleggere con il proprio voto. Rimettiamo, per forza di cose, gli effetti del voto in capo al caso e all’ordine di lista. Non possiamo conoscere i nomi e i cognomi di tutti coloro che concorriamo ad eleggere.

E tutto ciò rappresenta una nostra scelta. Perché in Costituzione sta scritto che “la sovranità appartiene al popolo”, ed è la verità: noi, come popolo, decidiamo di vivere in una listocrazia. Accettiamo che per far politica sia necessario far parte di una lista di candidati, e così facendo ci precludiamo il diritto di scegliere i nostri politici. Ci precludiamo il diritto di votare responsabilmente.

No al voto di preferenza

A nulla vale il discorso per cui “Io vorrei esprimere un voto di preferenza”, perché il voto di preferenza rimane sempre, comunque ed in ogni caso legato ad una lista politica. Anche se decidi di scrivere sulla scheda elettorale il nome e cognome di un singolo candidato, il tuo voto non contribuirà esclusivamente all’elezione di quella specifica persona, ma anche di tutte le altre che fanno parte della medesima lista. Sceglierai un singolo politico, ma lo farai dopo aver accettato l’intera lista. Semplicemente, tra tutti quelli che ti verranno presentati, dirai “Preferisco lui, ma comunque tutti gli altri mi vanno bene”. Il voto di preferenza non permette di responsabilizzarsi pienamente e veramente.

 

No al sistema maggioritario puro

Allo stesso modo, poi, non vale nemmeno il discorso per cui “Il sistema maggioritario puro permette di assumersi le proprie piene responsabilità elettorali”, perché, è vero, si tratta di un sistema che permette di votare una singola persona, ma rimane un voto pilotato, non libero. Non hai la possibilità di votare chiunque, ma soltanto coloro che fanno parte del tuo stesso collegio elettorale. E qual’è il motivo di tutto ciò? Perché non posso votare liberamente? Il voto si rivolge a chi si candida a rappresentare la Nazione (art. 67 Cost.), o mi sbaglio? Allora, perché, per esempio, da bresciano non posso votare un sardo? E allo stesso modo, perché un sardo non può raccogliere i propri voti anche in Lombardia?

 

Il partito non è necessario

La Costituzione non impone una listocrazia. Non impone che per far politica bisogni far parte di una lista di candidati, di un partito o di un movimento. Ne garantisce la possibilità, dato che specifica che è sempre possibile organizzarsi in partiti politici per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Ma questo è lontano anni luce dall’essere un’imposizione. Si tratta di una facoltà garantita per legge, che il sentire comune ha identificato come una necessità arrivando ad affermare che “O fai parte di un partito, oppure non fai politica”. Ma il sentire comune si piega alla volontà della maggioranza. Prima della prassi, per capirci, viene la Costituzione. E questa garantisce che tu possa far politica da solo, che tu possa votare un unico politico, insomma, che tu possa responsabilizzarti politicamente.

Ci lamentiamo che i partiti politici abbiano perso di credibilità e di rappresentanza, eppure continuiamo ad accettare silenziosamente che siano loro gli unici attori della vita politica. Non li riconosciamo più quali organismi in grado di rappresentarci, ma imponiamo che la politica sia racchiusa nelle loro mani, seppur la Costituzione ci permetta di rivendicare la titolarità di un’altra politica. Per Costituzione siamo certi che qualora domandassimo di far politica come persone, invece che come partiti, saremmo i primi ad essere ascoltati, invece preferiamo lamentarci dei partiti.

Non c’è dell’ipocrisia in tutto questo? O si decide che della politica se ne occupino i partiti e lo si accetta; oppure si decide che della politica ci pensino le persone libere.
Delle due l’una, ma se si decide di rimettere tutto in capo ai partiti politici non ha valore alcuna critica, perché qualunque cosa accada è da considerarsi frutto di una scelta responsabile.

 

Salviamo la politica!

SALVIAMO LA POLITICA!

Responsabilizziamoci!

Salviamo la politica, dipende soltanto da noi

La politica dei nostri giorni? Imbarazzante, arrivista, incompetente, inadeguata. Gli aggettivi si sprecano. Perché obiettivamente siamo spettatori di una delle peggiori politiche che la nostra Repubblica abbia mai conosciuto. Ed è da anni che ogni volta si può tranquillamente affermare che i nostri siano i politici di più bassa caratura che abbian mai messo piede in Parlamento, ogni tornata è peggio. Ma, signori, vi confido un segreto: li stiamo legittimando noi. Sia votando che non votando, li stiamo legittimando noi. Ci lamentiamo di una politica che esiste perché noi permettiamo che esista.

Votiamo per un mucchio di sconosciuti e poi ci lamentiamo che siano disonensti. Facciamo scegliere alle segreterie di partito chi rappresenterà la nostra Nazione e poi ci lamentiamo che non designino persone all’altezza. Ma sarà mica forse che davvero la colpa è soltanto nostra? Sono l’unico a pensare che se votassimo fieri e contenti, in Parlamento siederebbero persone realmente Onorevoli?

Votare con criterio e responsabilmente è un diritto che la legge elettorale preclude, ma che la Costituzione garantisce. Un diritto che, ad oggi, esiste solo sulla Carta e aspetta che qualcuno lo rivendichi. Perché ad oggi è un po’ come se stesse dormendo silenzioso tra di noi, e noi ci preoccupassimo di non svegliarlo. O forse sarebbe più giusto dire che è come se noi stessimo dormendo senza dar fastidio e la politica si preoccupasse di non svegliarci. Perché fare scegliere alle segreterie di partito i nostri politici fa comodo a loro, ma, allo stato dei fatti, di certo non a noi.

 

Responsabilizziamoci

Vogliamo salvarci da questa politica? Allora responsabilizziamoci, non c’è altra via. Assumiamo le nostre responsabilità. Votiamo persone di cui ci fidiamo. Scegliamo e non lasciamo sceligere.

Perché secondo il sentire comune “gli italiani non cambieranno mai”, secondo me invece cambieremo per forza. Mi domando soltanto se davvero stiamo aspettando che accada qualcosa di irreparabile, perché sembra d’essere sulla strada giusta…

Salviamo la politica, prendiamocene cura in prima persona, smettiamo di affidarla a degli sconosciuti. Chi crede di avere delle capacità si candidi da solo, fuori da qualunque lista politica. E chi si renda conto che il proprio voto rappresenti il proprio più grande potere politico, torni a dargli valore (o lo faccia per la prima volta): scelga il proprio politico fiero e sicuro. Di questo abbiamo bisogno!

Rivoluzione

Questo, signori, significa riportare la politica al passo coi tempi, ridare voce ai giovani, aprire serie discussioni politiche, legiferare con lungimiranza e tanto altro ancora. In una parola: RIVOLUZIONE, e dipende soltanto da noi.

Salviamo la politica.

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Salviamo la politica, dipende soltanto da noi

Come definire la politica dei nostri giorni? Imbarazzante, arrivista, incompetente, inadeguata… Gli aggettivi si sprecano. Perché obiettivamente siamo spettatori di una delle peggiori politiche che la nostra Repubblica abbia mai conosciuto. Ed è da anni che ogni volta si può tranquillamente affermare che i nostri siano i politici di più bassa caratura che abbian mai messo piede in Parlamento, ogni tornata è peggio. Ma, signori, vi confido un segreto: li stiamo legittimando noi. Sia votando che non votando, li stiamo legittimando noi. Ci lamentiamo di una politica che esiste perché noi permettiamo che esista.

Votiamo per un mucchio di sconosciuti e ci lamentiamo che siano disonensti. Facciamo scegliere alle segreterie di partito chi rappresenterà la nostra Nazione e ci lamentiamo che non designino persone all’altezza. Ma sarà mica forse che davvero la colpa è soltanto nostra? Sono l’unico a pensare che se votassimo fieri e contenti, in Parlamento siederebbero persone realmente Onorevoli?

Votare con criterio e responsabilmente è un diritto che la legge elettorale preclude, ma che la Costituzione garantisce. Un diritto che, ad oggi, esiste solo sulla Carta, ma che aspetta che qualcuno lo rivendichi. Perché ad oggi è un po’ come se stesse dormendo silenzioso tra di noi, e noi ci preoccupassimo di non svegliarlo. O forse sarebbe più giusto dire che è come se noi stessimo dormendo senza dar fastidio e la politica si preoccupasse di non svegliarci. Perché fare scegliere alle segreterie di partito i nostri politici fa comodo a loro, ma, allo stato dei fatti, di certo non a noi.

Responsabilizziamoci

Vogliamo salvarci da questa politica? Allora responsabilizziamoci, non c’è altra via. Assumiamo le nostre responsabilità. Votiamo persone di cui ci fidiamo. Scegliamo e non lasciamo scegliere. Perché secondo il sentire comune “gli italiani non cambieranno mai”, secondo me invece cambieremo per forza. Mi domando soltanto se davvero stiamo aspettando che accada qualcosa di irreparabile, perché sembra che siamo sulla strada giusta…

Salviamo la politica, prendiamocene cura in prima persona, smettiamo di affidarla a degli sconosciuti. Chi crede di avere delle capacità si candidi da solo, fuori da qualunque lista politica. E chi si rendesse conto che il proprio voto rappresenti il proprio più grande potere politico, torni a dargli valore (o lo faccia per la prima volta): scelga il proprio politico fiero e sicuro. Di questo abbiamo bisogno.

Rivoluzione

Questo, signori, significa ridare voce ai giovani, aprire serie discussioni politiche, legiferare con lungimiranza e tanto altro ancora. Significa RESPONSABILIZZARSI POLITICAMENTE, insomma, in una parola: RIVOLUZIONE, e, ne sono convinto, dipende soltanto da noi. 

Salviamo la politica.

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Costituzioni figlie di tempi degni

LE COSTITUZIONI DEVONO ESSERE FIGLIE DI TEMPI DEGNI

Tempi degni

Le Costituzioni devono essere figlie di tempi degni, non scherziamo! La Costituzione italiana ha un senso e qualunque sua modifica richiede un consenso importante, popolare prima ancora che politico. Un interesse che vada oltre la coalizione, che coinvolga tanti e dai colori politici più svariati.

 

Le modifiche che si discutono in politica proprio in questi giorni rappresentano legittime proposte. Perché è indiscutibile che la necessità sia diventata quella di proteggere il nostro Paese dalla patologia dell’ingovernabilità. E dai banchi della politica sembra si propenda per l’uomo forte al comando, mentre gli accademici sono perplessi e talvolta si spingono sino a paventare soluzioni alternative. Ma tutto questo non basta. Perché non sarà mai sufficiente un consenso fino a quando non sarà cosciente e popolare.

Quando i tempi sono degni?

Tempi degni
Tempi degni

I tempi sono degni quando il cambiamento non è invocato, ma è discusso. Quando non è imposto, ma è frutto di una visione piena della società. “Monarchia o Repubblica” si domandava. Era una scelta, non l’approvazione di una scelta altrui. Una scelta figlia di fervida discussione tra politici, accademici e soprattutto le persone comuni, tra i contadini e tra chi viveva in città.

 

Perché è certo che la politica abbia la legittimità di proporre riforme nel senso, per esempio, del premierato. Così come gli accademici sono liberi di confrontarsi tra le ipotesi più svariate. Ma tutto ciò non avrà valore fino a quando non nascerà dal coinvolgimento dell’intero elettorato. Manca una fetta importante di popolazione. Manca all’incirca il 50% degli aventi diritto al voto. E fino a quando questi non prenderanno parte alla diatriba politica, qualunque proposta non potrà considerarsi figlia dei tempi.
Una riforma così come la si discute oggi, cambierebbe i tempi secondo la propria volontà. Si tratterebbe di dar vita a tempi figli di una riforma, piuttosto che ad una riforma figlia dei tempi. E non si tratta di un gioco di parole, ma del discrimine tra una buona ed una cattiva riforma costituzionale.

 

I tempi sono maturi, è ora di riformare, lo chiedono tutti, adesso è il momento di aprire un dibattito serio, ampio e condiviso che coinvolga ogni visione.

Qual'è la riforma degna dei tempi?

E’ degna dei tempi la riforma che senta anche la voce di chi non crede nel partito politico, ma voglia comunque fare la propria parte. La voce di chi voterebbe per una persona fidata in maniera responsabile. Di chi sa che in Costituzione non sta mai scritto che per far politica sia necessario far parte di una lista. Sentiamo anche la voce di chi voterebbe soltanto qualora fosse l’unico artefice degli effetti del proprio voto. Perché vogliamo davvero modificare le fondamenta della nostra Carta costituzionale? Allora consideriamo anche l’eventualità in cui il popolo domandi di responsabilizzarsi in merito alla scelta del proprio parlamentare, piuttosto che del prorpio capo. Educhiamo sul valore di ogni songolo politico, oltre che su quello del leader. Diamo alle persone una visione completa della questione, poi vediamo cosa e se si decide.

Diamo agli elettori, almeno nell’immaginazione, la possibilità di scegliere liberamente tra un partito e una persona indipendente. Il partito propone le proprie soluzioni, la persona indipendente farà lo stesso. Apriamola a questo livello la discussione costituzionale. Perché il primo problema da affrontare è l’astensionismo, e l’unica maniera per fare una buona riforma è azzerarlo. E azzerarlo significa dare a qualunque elettore la possibilità di fare politica. Come? Permettendogli di candidarsi da solo, fuori da ogni partito. Soltanto così si sentirebbe  partecipe di una discussione che effettivamente lo riguardi.

Responsabilizziamoci

Discutere della riforma costituzionale anche da questo punto di vista è diventata una necessità; farne a meno è vigliaccheria. Predere atto del fatto che il partito (o il movimento politivo) non può più essere considerato l’unico organismo in grado di fare politica, a mio parere, è indice di onestà intellettuale. Tacerlo risulta pericoloso e miope, per usare un eufemismo.

Una politica responsabile è possibile, ma deve nascere da una discussione che non ha più senso d’essere rimandata.

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LE COSTITUZIONI DEVONO ESSERE FIGLIE DI TEMPI DEGNI

Tempi degni

Le Costituzioni devono essere figlie di tempi degni, non scherziamo! La Costituzione italiana ha un senso e qualunque sua modifica richiede un consenso importante, popolare prima ancora che politico. Un interesse che vada oltre la coalizione, che coinvolga tanti e dai colori politici più svariati.

 

Le modifiche che si discutono in politica proprio in questi giorni rappresentano legittime proposte. Perché è indiscutibile che la necessità sia diventata quella di proteggere il nostro Paese dalla patologia dell’ingovernabilità. Dai banchi della politica sembra si propenda per l’uomo forte al comando. Gli accademici, invece, sono perplessi, e talvolta si spingono sino a paventare soluzioni alternative. Ma tutto questo non basta. Perché non sarà mai sufficiente un consenso fino a quando non sarà cosciente e popolare.

Quando i tempi sono degni?

I tempi sono degni quando il cambiamento non è invocato, ma è discusso. Quando non è imposto, ma è frutto di una visione piena della società. “Monarchia o Repubblica” si domandava. Era una scelta, non l’approvazione di una scelta altrui. Una scelta figlia di fervida discussione tra politici, accademici e soprattutto tra persone comuni.

 

E’ certo che la politica di oggi abbia la legittimità di proporre riforme nel senso, per esempio, del premierato. Così come gli accademici sono liberi di confrontarsi tra le ipotesi più svariate. Ma a questa discussione manca una fetta importante di popolazione. Manca all’incirca il 50% degli aventi diritto al voto. E fino a quando questi non prenderanno parte alla diatriba politica, qualunque proposta non potrà considerarsi figlia dei tempi.
Una riforma così come la si discute oggi cambierebbe i tempi secondo la sua volontà. Si tratterebbe di dar vita a tempi figli di una riforma, piuttosto che ad una riforma figlia dei tempi. E non si tratta di un gioco di parole, ma del discrimine tra una buona ed una cattiva riforma costituzionale.

 

 

I tempi sono maturi, è ora di riformare, lo chiedono tutti, adesso è il momento di aprire un dibattito serio, ampio e condiviso che coinvolga ogni visione.

Qual'è la riforma degna dei tempi?

E’ degna dei tempi la riforma che senta anche la voce di chi non creda nel partito politico, ma voglia comunque fare la propria parte. La voce di chi creda nel parlamentarismo così come delienato dai costituenti e rivendichi il proprio diritto a votare per una persona fidata in maniera responsabile. Di chi sa che in Costituzione non sta scritto che per far politica sia necessario prender parte ad una lista. Sentiamo anche la voce di chi voterebbe soltanto se fosse l’unico artefice degli effetti del proprio voto. Perché vogliamo davvero modificare le fondamenta della nostra Carta costituzionale? Allora consideriamo anche l’eventualità in cui il popolo domandi di responsabilizzarsi in merito alla scelta del proprio parlamentare, piuttosto che del prorpio capo. Educhiamo sul valore di ogni singolo parlamentare, oltre che su quello del leader. Diamo alle persone una visione completa della questione, poi vediamo cosa e se si decide.

Perché non dimentichiamo che il primo problema da affrontare è l’astensionismo, e l’unica buona riforma costituzionale è quella che lo azzeri, o quantomeno lo diminuisca di gran lunga. E per farlo bisogna dare a qualunque elettore la possibilità di fare politica, di sentirsi realmente partecipe. Come? Permettendogli di candidarsi da solo, fuori da ogni partito. Facendo idpendere la propria eventuale elezione solo e soltanto dalle proprie capacità e dal giudizio degli elettori, non del partito.

Responsabilizziamoci

Discutere della riforma costituzionale anche da questo punto di vista è diventata una necessità; farne a meno è vigliaccheria. Prendere atto del fatto che il partito (o il movimento politico) non può più essere considerato l’unico organismo in grado di fare politica, a mio avviso, è indice di onestà intellettuale. Tacerlo risulta pericoloso e miope, per usare un eufemismo.

Una politica responsabile è possibile, ma deve nascere da una discussione che non ha più tempo d’essere rimandata.

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